Teatro

Il Demone del Teatro finalmente s'impossessa del Festival

Il Demone del Teatro finalmente s'impossessa del Festival

Lavorare per gli attori, con gli attori, dovrebbe essere il primo dei compiti d’un bravo regista. Il condizionale purtroppo è d’obbligo poiché, negli ultimi anni, si è spesso equivocato sulla funzione di colui che in inglese viene chiamato director, ovvero direttore, come chi, per l’appunto, nelle orchestre amalgama, dirige, infonde motivazioni e stili ai componenti dell’ensemble di interpreti. L’equivoco nasce dalla presunzione di molti registi delle ultime generazioni che, confondendo il teatro di regia con il teatro del regista, spesso danno vita a spettacoli in cui progetti altisonanti, utilizzo di effetti speciali, drammaturgie azzardate, hanno il sopravvento sul valore interpretativo; e spesso sono proprio gli attori che, non sempre in verità del tutto incolpevoli, si vedono mortificati nel loro compito, apparendo come degli inevitabili sussidiari alla rappresentazione.

Il Napoli Teatro Festival Italia edizione 2010 non è stato immune da questa dilagante epidemia egotica di registi e realizzatori, e non è un mistero che progetti sulla carta vertiginosamente originali ed affascinanti (di grande appeal per pubblico in cerca di motivazioni e per cosiddetti addetti ai lavori ancora più desiderosi di mostrarsi all’altezza del cerebrale regista di turno) siano naufragati in una realizzazione sciatta, incongrua e di scarsa qualità. Non staremo qui a fare l’elenco dettagliato di tali spettacoli, ma ci limitiamo ad esprimere la nostra gioia per aver assistito a quel capolavoro firmato da Peter Stein che ha restituito, con la realizzazione de I demoni, la giusta dignità a quello che non esitiamo a considerare il più grande romanziere di tutti i tempi, quel Fjodor Dostoevskij che in questo Festival ha subito, purtroppo, anche oltraggiose pseudo-rivisitazioni.

Lo straordinario regista tedesco non ha certo bisogno di garantire fuochi d’artificio, tridimensionalità filmiche o location inconsuete per avere credibilità presso un pubblico che ci auguriamo si stanchi presto di essere irretito da fuffa tecno-culturale, e si lasci di nuovo catturare, così come è avvenuto per due giorni nei locali dell’ex Birreria Peroni di Miano, dal vero teatro, da veri attori, e da vero impegno registico.

Non stiamo qui a sottolineare l’asciutta resa del testo, l’intelligente utilizzo di narrazione alternata equilibratamente ai dialoghi, il giusto intuito di esaltare il ruolo didattico che Dostoevskji ha voluto a suo tempo dare al proprio capolavoro; per noi recensire I demoni firmati da Stein (12 ore leggere ed avvincenti più di tanti sofferti 90 minuti spesi altrove) significa soprattutto esaltare il lavoro di un regista che ha saputo coniugare impegno culturale e spettacolo, direzione di interprete e rispetto per il pubblico. Solo un grande regista riesce a sottrarsi alle lusinghe di apparire prima degli attori, di schiacciare il loro lavoro con ingombranti e pretestuose messe in scena; solo un grande regista riesce a concepire uno spettacolo attraverso i suoi interpreti, attraverso scene e costumi apparentemente essenziali, e ad utilizzare tutto in un amalgama di grande gusto teatrale.

Naturalmente solo un grande regista riesce anche, d’altro canto, a lavorare con dei grandi attori senza farsi prevaricare da essi, ma collaborando alla loro interpretazione sempre equilibrata, mai compiaciuta, al servizio di una coralità esemplare. Dirigere un’orchestra di ben trenta attori senza nessuna sbavatura, lasciando che tutti siano presenti coi loro personaggi e con le loro personalità, è un lavoro che riesce solo a chi col teatro intende esclusivamente affermare il teatro, e non il proprio ego. Ci sembra giusto segnalare le prove di Maddalena Crippa, compagna sulla scena e nella vita di Stein, grande, grandissima, interprete di quel teatro di prosa italiano che ha salde radici ma che non viene coltivato per assenza di valore artistico, e che in lei ritrova un’attrice eccellente, che riesce a dare al ruolo di Varvara Petrovna tutti i colori di una donna dura, risoluta, ma anche di madre apprensiva, di innamorata inespressa e dalla grande interiorità, che non arriva mai a perdere quella vena ironica di cui è intrisa la letteratura russa. Un’interpretazione esemplare a cui fa da contraltare l’istrionico e lunare Stepàn Trofímovič Verchovenskij di Elia Schilton, intellettuale e poeta, vittima sacrificale di quel mondo violento e tragico, la Russia di fine Ottocento, tanto simile al mondo a noi oggi così vicino.

Una Russia sofferente e febbricitante, che grazie al sacrificio dei suoi figli indemoniati spera in un futuro che purtroppo conosciamo come altrettanto tragico, figli resi vivi dalle eccellenti prove di Fausto Russo Alesi (Kirillov), Alessandro Averone (Pjotr), Rosario Lisma (Šatov) e Ivan Alovisio (Nikolàj), ottimi attori straordinariamente incontaminati dal divismo televisivo, grande rarità per la loro generazione, e che ben ci fa sperare nel futuro del nostro teatro. Ci è doveroso, inoltre, segnalare le ottime prove di Pia Lanciotti, che riesce a sostenere due ruoli diversissimi quali la storpia Mar´ja Timoféevna e Arina Pròchovna con rara duttilità espressiva e tensione drammatica, Maria Grazia Mandruzzato, ottima Praskov´ja Ivànovna, Franca Penone, anch’essa nel difficile compito di interpretare con successo due differenti importanti personaggi femminili, quali le cognate Dar’ja e Mar’ja Sàtova, Andrea Nicolini nella parte di Antòn Grigoreiev, che fa anche da io narrante delle vicende, e la più che convincente Irene Vecchio, che rende con vivacità e senso del tragico il doloroso dissidio interiore di Lizaveta Drozdova. Franco Ravera, Paolo Mazzarelli, Paola Benocci, Graziano Piazza, Giovanni Visentin, Carlo Bellamio, Fulvio Pepe, Luca Iervolino, Riccardo Ripani, Armando de Ceccon, Matteo Romoli, Nanni Tormen, Federica Stefanelli e Antonia Renzella completano lo straordinario cast, e solo per non apparire ulteriormente prolissi e ripetitivi non dedichiamo, come meriterebbero, un encomio ad ognuno di loro: tutti e trenta gli attori hanno dato un apporto di straordinaria intensità ad una complessiva grande prova interpretativa che, a dispetto della durata e degli eccessivi ostacoli meteorologici e tecnici, ha convinto il pubblico, tanto da meritare un applauso di dieci minuti e una doverosa standing ovation.

E, per una volta, ha vinto il Teatro.